Il Pdl può e deve avere voce in capitolo sulla formazione del nuovo governo. E lo può pretendere perché i numeri a Palazzo Madama (128 senatori) consentono a Berlusconi di essere determinante nelle votazioni. Su queste basi, secondo quanto viene riferito, si sarebbe articolata la discussione questa notte a Palazzo Grazioli tra i vertici del partito e il presidente del Consiglio. Berlusconi avrebbe ribadito la sua disponibilità ad appoggiare un governo Monti mettendo però bene in chiaro che restando il Pdl partito di maggioranza relativa, deve anche essere determinante nella stesura del programma e non solo nella scelta della composizione dell’esecutivo. Se il ‘passo indietro’, sarebbe stato il ragionamento di Berlusconi, è stato fatto per non dare alibi alla speculazione finanziaria, di certo il Pdl non può rinnegare se stesso: non possiamo – avrebbe detto – votare misure come la patrimoniale contro cui mi sono battuto per 17 anni, per tutta la mia carriera politica. Preoccupazione, poi, sarebbe stata espressa per l’esecutivo che sarà e per come si rapporterà con il Parlamento. Per il premier, infatti, quello che deve essere chiaro è che le Camere non devono essere esautorate del loro ruolo e chiamate a votare provvedimenti a scatola chiusa. Se così fosse, avrebbe osservato il Cavaliere, sarebbe meglio scioglierle. Nel corso della riunione si sarebbe inoltre affrontato il crescente malumore che più di qualche ‘big’ del partito avrebbe manifestato in merito alle voci sul ‘totonomine’. Che ad oggi i futuri incarichi del governo in quota Pdl siano già appannaggio di due o tre ministri (tra i più insistenti si fanno i nomi di Frattini, Palma, Fitto e Gelmini) avrebbe fatto infuriare buona parte del partito. E forse anche per questo, il vertice notturno avrebbe visto proseguire il pressing dei senatori sul Cavaliere affinché vagliasse seriamente l’ipotesi di un appoggio esterno ad un eventuale governo Monti. Ipotesi, questa, che il premier – pur come extrema ratio – si riserva ancora di valutare osservando che un comportamento del genere sarebbe possibile solo se lo tenessero tutti i partiti.
NAPOLITANO SENTE OBAMA E RICEVE MONTI – Mentre le quotazioni di un governo tecnico guidato da Mario Monti salivano, Giorgio Napolitano si è intrattenuto al telefono con Barack Obama, che ha voluto sapere a che punto è la crisi politica. In mattinata il capo dello Stato aveva assicurato ai mercati che l’Italia ha imboccato la strada giusta, manterrà gli impegni e supererà la crisi di sfiducia. Poi, nel pomeriggio, l’incontro ‘chiave’ al Quirinale dove per circa un’ora e mezza ha ricevuto il professor Monti nominato ieri senatore a vita e subito salutato da alcuni leader politici come il premier in pectore.
Secondo indiscrezioni, Monti e il presidente, dopo i convenevoli davanti ad una tazza di te, hanno esaminato alcuni nodi che sembrano emergere dal confronto politico. Uno riguarderebbe il tasso si rinnovamento del prossimo esecutivo.
C’è il Pd, che chiede un ricambio totale, mentre il Pdl vorrebbe, al contrario, la massima riconferma degli attuali ministri per non vedersi disconoscere la propria azione di governo. Tra le ipotesi che si stanno vagliando in queste ore di serrate trattative – e probabilmente sul tavolo del confronto di questa sera al Quirinale – anche una soluzione mediana che prevederebbe che l’esecutivo uscente sia rappresentato da Gianni Letta in posizione di vicepremier.
Ma nella mente del professor Monti – forse anche come arma di convincimento estremo – ci sarebbe un’ipotesi ‘tranchant’, definita "alla Ciampi", il quale nel 1993 compilò la lista dei ministri senza contrattarla con i partiti andando Parlamento con un ‘prendere-o-lasciare’. Una soluzione forte, ma rischiosa. Qualcuno ricorda anche il caso di Amintore Fanfani che si presentò in Parlamento, senza avere la fiducia, rimanendo in carica solo per gestire le elezioni. Ma erano altri tempi e c’erano altre esigenze.
Saranno le consultazioni, avrebbe detto Napolitano, a fornire delucidazioni. Napolitano vuole farle comunque bruciando i tempi fino all’ inverosimile con l’obiettivo di far giurare il nuovo governo già lunedì 14 novembre. La tempistica prevede: dimissioni di Berlusconi sabato sera. Consultazioni domenica e incarico a fine giornata. Lista dei ministri e giuramento lunedì. Tempi ridotti all’osso, perché come ha detto Napolitano , non c’é più un minuto da perdere.
Un fatto certo è che la probabile soluzione Monti, le disponibilità politiche per un governo tecnico di larghe intese, la sua nomina a senatore a vita interpretata come una sorta di pre-incarico, hanno avuto un effetto rasserenante sulla Borsa, sui mercati e sullo spread che ha frenato la sua corsa. Ma, ha ammonito il presidente della Repubblica, non è il momento di abbassare la guardia.
Di prima mattina, mentre le contrattazioni erano in pieno svolgimento, ha colto l’occasione di una conferenza pubblica sulle analogie fra il risorgimento italiano e quello finlandese per assicurare che l’Italia ha ormai imboccato la strada giusta e ce la farà. "L’Italia – ha detto – è di fronte a passaggi difficili e scelte particolarmente ardue per superare la crisi. L’Europa attende con urgenza segni importanti di assunzione di responsabilità da parte di uno dei suoi paesi fondatori. Saremo all’altezza del compito"