Giorgio Gaber diceva: ”non temo Berlusconi in se’, ma Berlusconi in me”. Dall’annuncio della "discesa in campo" nel lontano inverno del 1993, alle dimissioni di questa sera: diciotto anni che, nel bene e nel male, come aveva previsto il cantautore milanese, hanno cambiato l’Italia e gli italiani. Il loro modo di pensare e di fare la politica. Assoggettandosi o combattendo la sua ‘idea forte’, l’unica che in questi 18 anni ha dettato i tempi e i temi della politica. Un’idea semplice, un pensiero nuovo e innovativo, che nei primi anni ’90 cavalco’ facilmente la delusione e la rabbia degli italiani che si trovarono a confrontarsi con gli scandali di Tangentopoli, il crollo del sistema politico, la morte di quella che venne definita la Prima Repubblica.

Ma Silvio Berlusconi, imprenditore e ‘self made man’ ben interpreta da subito quei sentimenti proponendosi come ‘salvatore della patria’. Prima di bere ‘l’amaro calice’ del 1994, Berlusconi diede le prime avvisaglie del suo impegno politico sostenendo – in modo irrituale e inaspettato – la candidatura del missino Gianfranco Fini nella corsa per il Campidoglio. Un appoggio che gli valse il primo dei tantissimi appellativi che la carriera politica gli avrebbe riservato: il Cavaliere Nero. La forza di Berlusconi, pero’, si trasforma anche nel suo limite: trasformare tutto in un perenne referendum su se’ stesso. Il ”O me o loro”, funziona fintanto che il movimento non si trasforma in partito. Funziona fino a che i suoi compagni di viaggio non iniziano a reclamare i loro spazi. Tanti sono infatti i cambi di rotta e i ‘divorzi’ che segnano il cammino di Berlusconi. Addii e ritorni che vedono in Bossi, Fini e Tremonti solo i nomi piu’ in vista. Con il Senatur la rottura gli costo’, ad appena sette mesi dall’incarico del ’94, la guida del governo. Fini, che lo lancio’ nell’agone politico, oggi e’ uno dei suoi piu’ grandi oppositori. Tremonti, in un rapporto odio-amore, e’ forse l’uomo-chiave di quest’ultima crisi. Una crisi che pero’, nonostante la pervicacia del Cavaliere, ha dato i suoi primi segnali gia’ un anno fa.

La rottura con Fini ha infatti mostrato tutti i limiti dell’autosufficienza di una leadership carismatica. E il ”che fai? Mi cacci?” pronunciato dal presidente della Camera e tradotto nella sua espulsione dal Pdl non ha portato i frutti sperati da Berlusconi costretto per piu’ di 12 mesi ad una faticosa rincorsa alla maggioranza parlamentare. Quota 316 e’ stata in effetti ottenuta solo poche volte e a costi quasi proibitivi in termini politici. Di certo ha pesato sulla vita del governo anche l’aspetto giudiziario che ha scadenzato l’agenda personale e politica di Berlusconi. Le accuse che accompagnano il suo addio a Palazzo Chigi sono quasi tutte legate alle sue vicende giudiziarie che hanno ‘flirtato’ con i pruriti del gossip. La crisi finanziaria internazionale, che oggi vede l’Italia nel mirino, poco o nulla sono a confronto con le ‘serate’ di Arcore e con le ragazze dell’Olgettina. Da Noemi e Ruby passando per la D’Addario, Berlusconi ha dovuto stravolgere il suo impegno politico per difendere il proprio ruolo. Occupando anche il Parlamento, come sostiene l’opposizione, con leggi ad personam.

E cambiando, ancora una volta, il vocabolario della politica che si arricchisce di ”bunga bunga” e ”utilizzatore finale”. Eccessi e contraddizioni di un ventennio che sembra concludersi con un ritorno alla prima Repubblica. Una sorta di Gioco dell’oca che sta facendo rivivere al Paese la tragica esperienza della crisi economica e degli attacchi speculativi del ’92/’93, delle inchieste giudiziarie che vedono coinvolti i partiti e il moltiplicarsi di correnti e fazioni che, come in una guerra tra bande, si contendono il potere. Ma che sembra anche non sancire la fine di Berlusconi e del berlusconismo, ma semmai portare a battesimo una riedizione della prima ‘seconda’ Repubblica in cui, ancora una volta, si potrebbe ripetere la discesa in campo di un altro imprenditore.

 

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