La situazione urbanistica e paesaggistica di Nocera Inferiore "guadagna" spazio sul Forum Italiano dei Movimenti per la Terra ed i Paesaggi – come segnala uno dei candidati a sindaco di Nocera alle passate elezioni amministrative, Pasquale Milite. Per far intendere il problema, viene riportato un estratto di un articolo scritto dall’architetto Gaetano Cialdini nel 2012. Lo riportiamo anche noi di seguito:

Osservando dall’alto Nocera Inferiore si percepisce ancor di più la mancanza di spazi liberi, usufruibili dai cittadini, dalle famiglie, dai giovani, dagli anziani. Ormai un unico blocco fatto di cemento, mattoni, tegole, lamiere, asfalto, coperture di plastica, da cui qua e là spunta un albero stranito o sistemato in file su marciapiedi striminziti. Un ammasso amorfo, caotico di edifici, torri di cemento, costruiti durante gli anni che vanno dal 1950 al 1960, al 1970 fino al 1980, dal dopoguerra al "boom economico" in pieno regime democristiano, durante gli anni della ricostruzione del post terremoto dal 1980 al 1990, proseguendo fino ai giorni attuali delle speculazioni edilizie che hanno riempito gli ultimi spazi di suolo libero rimasti, tutto ormai è cementificato. In ogni periodo si sono perpetrati gli scempi e le speculazioni più assurde, mancando l’occasione che poteva fare di questa una città a misura d’uomo, una vera città moderna. La miopia di chi ci ha governato per decenni ha invece creato solo degrado ed una città invivibile anche per i più avvezzi. Nonostante ci sia nato, camminando per le strade di Nocera provo un grande disagio. Sembra sia passato un re "Mida" che abbia trasformato, con il solo tocco di un dito, ogni spazio in "cemento" (oro per gli speculatori e i gruppi d’affari), come anche i pensieri di chi ci ha governato. L’unica cosa di cui siamo assai capaci in questa città sembra sia proprio creare mostruosi edifici ed abbattere alberi e giardini. Accanto ai nuclei antichi, orami martoriati e degradati, dei casali e del borgo, si è sviluppata una città di solo cemento ed asfalto, a misura della massima speculazione, alla faccia dello sviluppo equilibrato, della dimensione umana a difesa della quale si sono versati fiumi di inchiostro da parte degli studiosi. Lo sviluppo organico, armonico che si è avuto nei secoli passati è stato cancellato in un momento, grazie alla speculazione immobiliare, al concetto ancora tutt’ora dominante che la casa non è più un bene primario ma un oggetto di profitto e speculazione da parte dei costruttori aiutati dalla politica degli affari, nel cui intreccio si è facilmente inserita la criminalità organizzata. Mi viene da pensare che forse sarebbe stato opportuno laurearmi in "Speculazione edilizia", un bel corso di laurea all’Università di Napoli o quanto meno un corso di specializzazione post laurea, dove sicuramente i signori che hanno operato per lo sviluppo di Nocera sarebbero stati i migliori docenti. Non hanno perso occasione per mettere le mani sulla città, non sono serviti piani urbanistici comunali e sovracomunali per evitare gli scempi ed il saccheggio. Il "Partito del cemento" al di sopra di tutto e di tutti, prima gli interessi degli speculatori e poi quelli dei cittadini. Se c’è un po’ di spazio di risulta, si può anche pensare di creare un "Parco giochi comunale" o piccoli recinti, che vengono poi dati in gestione a privati che l’utilizzano per i loro interessi, oppure creare spazi di risulta trasformati in aiuole per la gioia dei cani. Le uniche architetture, dal dopoguerra ad oggi, sono state realizzate con la costruzione delle cosiddette case popolari; quartieri a sé stanti con le loro cellule abitative (existens-minimum), con gli spazi pubblici progettati, è vero, senza continuità con la città, ma che in ogni caso prevedevano gli standards minimi, meglio che niente. Le occasioni per la ricostruzione, la prima nell’immediato dopoguerra (1950-60) e la seconda col post-terremoto (1980-90), non han fatto altro che accelerare un processo speculativo e di malaffare (ricordiamo i morti ammazzati tra il 1980 ed il 1990) portato all’estreme conseguenze fino ai giorni attuali. Negli anni tra il 1960 e il 1970 si è avuta una edificazione massiccia, all’epoca dominava l’idea che un paese per essere moderno dovesse per forza avere il suo "grattacielo" e le sue torri in cemento armato, evidentemente a Nocera Inferiore come in qualche altro paese si è esagerato. Sono stati innalzati in poco tempo edifici di sette, otto, qualcuno di dieci, dodici piani (fortuna non erano capaci di costruirli più alti) a formare un continuum su ambedue i lati di nuove strade, a pochi metri uno dall’altro, senza servizi, parcheggi e quel minimo di spazio vitale per i cittadini. Negli anni 1980 e 1990, iniziano gli abbattimenti, come quello di parte degli edifici storici del Corso V. Emanuele, interi pezzi di città, per far posto a mostri edilizi, che a mio avviso restano l’emblema, il simbolo, un monumento della speculazione edilizia, la peggiore prosa edilizia. Sotto le voci recupero, manutenzione straordinaria, adeguamento sismico, limite di convenienza (cioè se il costo delle opere per adeguare un edificio superava un certo valore allora conveniva abbatterlo e ricostruirlo "più bello e più grande che pria"), si sono perpetrati abbattimenti di intere opere di un certo valore architettonico o di parte di esse, pezzi della storia architettonica della nostra città sostituendole con brutti edifici privi di valore e che hanno permesso di aumentare la densità abitativa creando plusvalore a discapito dei residenti che sono stati letteralmente deportati in quartieri popolari costruiti ad hoc come l’edilizia straordinaria a "Monte di Dio". L’unico intervento che doveva essere permesso nei nuclei antichi di questa, come in altre città, doveva essere solo il restauro e quindi la conservazione del tessuto e delle emergenze architettoniche, con tutto quello che comporta un tale intervento, migliorare, demolire le superfetazioni e le brutture aggiunte nei decenni. Conservare le attività e le destinazioni d’uso compatibili con un vivere a dimensione umana, specie in spazi ristretti come i nostri centri antichi, i casali, il borgo, le corti abitative dove è più utile e conveniente muoversi a piedi, con la bici o con altri mezzi ecologici, tali impianti andavano conservati nella loro unitarietà e quindi salvaguardati dalla speculazione, costruzioni preziose ed irripetibili che hanno creato nei secoli spazi a dimensione umana senza l’ausilio di alcun Piano Urbanistico. I cittadini devono riappropriarsi della città, del suo destino, decidere sulle trasformazioni e sulle destinazioni, confrontando varie idee. Bisogna ridisegnare la città con nuove infrastrutture e con idee che, sulle prime potrebbero sembrare spinte, ma che tenendo in conto di abbattere fabbricati, pezzi di città degradati, fabbricati relativamente nuovi, possano farla respirare e dare l’avvio ad uno sviluppo equilibrato, chiudendo al traffico veicolare parti di città e creando parcheggi liberi a ridosso del centro urbano. Svuotare la città da quelle attività non compatibili e decentrarle, dando la possibilità di trasferirle in zone lottizzate ad hoc. Basta con l’espansione urbana ed il sacrificio di altre aree, bisogna evitare nuovi insediamenti, di cui non se ne vede la necessità, ridisegnando e ricostruendo all’interno del centro urbano già esistente. Avere il coraggio delle idee, di perseguire un modello urbano dove i cittadini, oltre a soddisfare il bisogno abitativo, possano soddisfare anche i bisogni sociali, culturali, di tempo libero, come praticare sport fare teatro, musica, danza e dove i bambini ed i ragazzi, gli anziani, le famiglie possano incontrarsi ritrovandosi in spazi a loro dedicati e muoversi con una certa libertà e sicurezza. Sembra un’utopia, ma è proprio dalle utopie, dalle grandi idee, che l’uomo costruisce la bellezza. Una grande opera realizzata in questo caso da tanti piccoli interventi per ridisegnare la città e su cui vale la pena investire risorse umane ed economiche sia pubbliche che private, per una città il cui scopo non è solo quello di abitare, produrre, consumare, ma anche quello di coltivarsi, valorizzare le risorse naturali, paesaggistiche e culturali. Non dimentichiamoci che siamo tra Paestum, il Parco del Cilento, Pompei, Ercolano, il Vesuvio, la Costiera Amalfitana e Sorrentina. Anche la nostra campagna è ormai distrutta, inquinata, costruzioni ovunque a macchia di leopardo. Se provassimo a tracciare una ipotetica circonferenza di cento metri di raggio intercetteremmo sicuramente una bruttura, una discarica, un canale inquinato, un corsi d’acqua divenuto ormai una fogna a cielo aperto. Ma è proprio su tutto questo che bisognerebbe concentrare le forze politiche, sociali ed economiche, sul recupero ed il disinquinamento di queste aree, cosa che in altri paesi civili è accaduto, disinquinando corsi di fiumi e controllando l’intero territorio con l’aiuto delle nuove tecnologie, perseguendo in tempo reale coloro che inquinano. Si sono create aree industriali inutili, come "Fosso Imperatore", fonti di ruberie per coloro che le hanno pensate e realizzate, ma che alla comunità e ai contadini ha solo sottratto la terra, senza creare l’occupazione promessa perpetrando così l’ennesima beffa. Il territorio comunale, ormai come gran parte della regione Campania versa in uno stato di abbandono, di degrado ed ecco dunque bisogno di riconsiderare una nuova economia basata sulla valorizzazione di ciò che abbiamo o potremmo avere e ripartire da un nuovo disegno della città e del suo territorio, da un’idea che tenga conto di tutti gli aspetti accennati e che sia un punto fermo per una nuova Rinascita sociale e soprattutto economica. Non una "grande opera" ma tanti interventi, di natura economica ed urbanistica, alla luce di una "grande idea".

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