NON DIMENTICHIAMOCI DEL FESTEGGIATO!
Quella notte di duemila anni fa, quando la storia del mondo aprì il suo capitolo più nuovo e straordinario, è giunta fino a noi accompagnata dall’immagine di un silenzio cosmico: la terra si fermava, e quasi tratteneva il respiro, per accogliere il più grande di tutti i nati: uomo, della stessa natura di tutti noi, inviato, come messaggero del Padre, a salvare tutto il genere umano.
Solo il silenzio poteva reggere lo stupore. Uno stupore che non si è spento e di cui sentiamo ancora l’eco, come quello di una notte senza fine che però non aveva bisogno di luce; una notte più sfolgorante di tutti i giorni che l’avrebbero seguita, come a perpetuarne l’unicità e a sancirne l’eternità.
È stata la notte della rigenerazione per l’intera umanità, che ha visto sorgere il nuovo Adamo e ha dato così inizio a una nuova storia, della quale siamo diventati eredi diretti. Siamo stati rivestiti di una nuova dignità. Attraverso la venuta del Figlio siamo diventati la generazione dei figli. “E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale gridò: Abbà Padre!” (Gal 4,6).
Mai come da quella notte l’uomo è stato dentro la sua storia. Nel clima accogliente e familiare che l’attesa del Natale crea in ogni comunità – a cominciare dalla prima e dalla più naturale, la famiglia – sento di dover rivolgere il mio augurio di Pastore della Chiesa che è in Salerno – Campagna – Acerno, condividendo con ciascuno di voi alcune riflessioni che, spero, potranno rinsaldare, in primo luogo, quei vincoli di affetto e di stima maturati nel corso di questo mio primo anno di permanenza nella nostra bella e amata diocesi.
In qualche modo vorrei dar seguito a quella lettera che, un anno fa, dopo l’ingresso in diocesi, rappresentò la prima occasione di un colloquio rivolto, nella luce del Natale, alle donne e agli uomini del nostro territorio. Un colloquio innanzitutto cordiale e aperto, come quello di una famiglia riunita, una volta tanto, davanti al camino, luogo simbolico di quell’esercizio del dialogo che, paradossalmente, viene talvolta ostacolato dall’invadenza di mezzi chiamati a favorire la comunicazione.
Con il tempo di Avvento che prepara lo spirito e segna il cammino verso le solenni celebrazioni liturgiche fino al culmine della Notte Santa, come potrei non aprire questo nostro colloquio cercando di mettere tra noi, come trama di verità, lo spirito autentico del Natale?
Lo sapete, lo vedete bene – e talvolta la visione non è solo sgradevole, ma provoca addirittura “scandalo”- esiste anche uno spirito falso del Natale. Nessun’altra solennità, come questa, ha subìto -non da oggi e non solo nella nostra terra- un assedio così forte e devastante. Di fronte alla vasta crisi in atto, vi è il rischio di andare completamente fuori tema; di parlare una lingua diventata, per molti, non solo incomprensibile, ma stonata e del tutto avulsa dalla realtà che tutti ci troviamo a vivere.
La crisi economica, quando non l’ha già fatto, sta cambiando le nostre vite. Difficoltà ad arrivare a fine mese, indigenza e disoccupazione sono problemi che riguardano fasce sempre più ampie della popolazione, a causa della difficile congiuntura economica in atto nel nostro Paese. Sul piano sociale si è di fronte a una vera e propria emergenza. Pur nelle apparenze di un certo decoro esteriore, sappiamo bene che in molti nuclei familiari l’intensità delle ristrettezze sta riportando d’attualità una vita di stenti che sembrava diventata solo un ricordo di grami tempi passati. Siamo dinanzi ad una nuova povertà: quella di redditi che un tempo assicuravano un livello di vita almeno dignitoso e che oggi si trovano assottigliati da altre voci al passivo. Ciò che si ha di fronte è un meccanismo a suo modo infernale, rapacemente in cerca di ricchezze che seminano però per strada nuove povertà costruite non da privazioni di base, ma dall’eccedenza di bisogni.
A Natale questa tendenza all’eccesso sembra farsi più forte, con l’inevitabile corsa ai regali. È giusto ed è bello scambiarsi dei doni, ma sempre nell’ottica simbolica della festa per il Dono più grande che è Gesù. Nel vortice dei festeggiamenti non dimentichiamoci del Festeggiato. Lui è la ricchezza, tutto il resto sia sobrietà, contorno, accompagnamento alla festa.
Gesù è nato in un luogo poverissimo, come il più povero tra i poveri, accolto in una mangiatoia. Poi è stato costretto a fuggire in Egitto con Maria e Giuseppe, ed ha sperimentato la terra straniera, è stato un migrante. Questo deve aiutarci a considerare ancora di più il disagio di tanti che sono nella stessa condizione. Un’ulteriore categoria di poveri che caratterizza i nostri tempi: una delle nuove forme di schiavitù. Sono le tante facce di una povertà che si riteneva scomparsa, o superata, ma che invece si rifà viva anche sul nostro territorio, come carico aggiuntivo delle povertà, per così dire, tradizionali.
Chi ha meno bisogno delle analisi di esperti o della stessa eloquenza dei numeri per capire e valutare a fondo le dimensioni di ciò che accade, lo posso ben dire, è la comunità ecclesiale. I nostri organismi diocesani, gli istituti di assistenza, i conventi sono più che mai presìdi di una solidarietà che -essa sì- non conosce crisi.
Il rischio è che la solidarietà possa ridursi a un’opera solo lodevole e meritoria, e non anche, com’è avvenuto finora, proporsi come elemento sussidiariamente risolutivo.
Ma avvertiamo anche, proprio come Chiesa, una responsabilità nuova e più esigente, della quale si è fatto interprete papa Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, indicando la strada di un “profondo rinnovamento culturale” e della “riscoperta dei valori di fondo per costruire un futuro migliore”.
La crisi che ci pone “davanti al fallimento di un modello unilaterale e materialistico e che ignora il bene comune” impone radicali cambiamenti anche negli stili e nei comportamenti di vita. Il Papa esorta ad essere creativi: “Gli aspetti della crisi e delle sue soluzioni, nonché di un futuro nuovo possibile sviluppo, sono sempre più interconnessi. La complessità e gravità dell’attuale crisi economica giustamente ci preoccupa, ma dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità…”.
Questa responsabilità interpella direttamente anche il vostro Pastore e tutta la Chiesa salernitana. Non viviamo in un mondo a parte, o in un’isola felice. Le famiglie a cui guardo con preoccupazione, sono le famiglie della nostra diocesi, che stentano, come e più delle altre, a far fronte ai propri impegni; ad assicurare un futuro sereno ai figli. Anche sul nostro territorio la crisi sta aggredendo un comparto produttivo un tempo solido e di riconosciuto prestigio. Alla crisi e alla chiusura di fabbriche, fanno da sfondo le difficoltà di una rete commerciale in cui cominciano ad emergere non poche smagliature. Il volto di Salerno, fatto di vitalità e bellezza, riesce a nascondere, almeno in superficie, disagi e difficoltà che pure esistono.
Come Pastore di questa diocesi, so di poter contare su una Chiesa pienamente consapevole, in tutti i suoi componenti -a cominciare dai suoi presbiteri- della sua primaria missione, l’annuncio di Cristo, e della sua responsabilità verso i fratelli. La crisi economica richiama a una particolar vicinanza verso i più deboli e gli ultimi della fila. In questo scenario la gratuità è chiamata a compiere un deciso passo in avanti.
Come e più che in passato la solidarietà non verrà mai meno: continuerà ad essere il segno distintivo di una comunità che, semmai, intende affinare sempre più la natura ecclesiale del proprio impegno. Saremo sempre vicini a chi di questa crisi paga o si appresta a pagare le conseguenze più gravi: chi busserà alla nostra porta per cercare sostegno e solidarietà avrà l’accoglienza più piena e potrà contare sulla comprensione più totale. È necessario che le nostre comunità parrocchiali offrano risposte di prossimità e di solidarietà e che tutti siano disposti a camminare insieme, a portare gli uni i pesi degli altri.
Le famiglie, i movimenti e le associazioni ecclesiali devono avvertire l’emergenza di un’educazione autentica al dono di sé. Oggi più che mai è prioritario promuovere e diffondere scelte e stili di vita personali e comunitari improntati all’essenzialità e alla sobrietà, rigettando tutto ciò che sa di orpello pesante e non necessario.
Forse bisogna cogliere la crisi di questi tempi come una risorsa perché essa può aiutarci a traghettare il futuro verso mete dove la nostra umanità sia davvero al centro della nostra quotidianità. Sì, a volte, è necessario andare alla scuola dei poveri per imparare ad umanizzare la vita.
Questa crisi ci dà l’opportunità di “convertire” il nostro rapporto con le cose: dal consumismo al consumo critico, dalla dipendenza all’uso sobrio ed etico. Una riscoperta coraggiosa della povertà evangelica che deve interessare ogni cristiano, la comunità nella sua globalità. La crisi economica ci offre l’occasione di convertire il nostro rapporto con le persone, per dare il giusto valore alle relazioni umane che sono fondamentali per la felicità e il senso della vita.
Il consumo critico, la sobrietà, la solidarietà sono atteggiamenti virtuosi, perché sono la risposta semplice al problema più grande della sostenibilità della nostra vita.
Ma la Chiesa ha anche il dovere di far presente i propri limiti. Non è da essa che possono venir fuori soluzioni tecniche, né formule magiche per venire a capo di una crisi che ha radici nel campo opposto alla sua predicazione: laddove le ingiustizie sociali e forme di sviluppo che tengono in scarso conto il primato e la stessa dignità della persona creano situazioni di squilibri strutturali. Il nostro impegno non può che concentrarsi essenzialmente sulla denuncia di visioni distorte che costituiscono la premessa di una vera e propria deriva ai danni dell’uomo.
Quello che accade nel mondo è ben visibile a partire anche dalla nostra terra. Ciò deve renderci consapevoli delle dimensioni del problema e spingere ognuno a fare la propria parte. Nessuno, infatti, può chiamarsi fuori dalle responsabilità del momento. È necessario, sui problemi mondiali, passare dall’indifferenza alla responsabilità. Quando diciamo che “non possiamo nulla” vogliamo intendere che le soluzioni sono in mano a persone che hanno responsabilità politiche ed economiche e quindi lontane dalla nostra possibilità effettiva di fare qualcosa. Invece tantissimo dipende dalle scelte dei singoli, in termini di stili di vita e di consumo. Imparare a rinunciare, a “tagliare”, a non cercare il superfluo è un passo fondamentale per dare una mano alla famiglia umana che cerca pace e giustizia.
Ancora di più ciò è vero per le Istituzioni pubbliche e la classe dirigente. Se l’esigenza del bene comune è un vincolo etico al quale non è lecito sfuggire, in situazioni di crisi essa non può che assumere un valore ancora più forte e assoluto, fino a diventare il criterio di giustizia nella sfera dei rapporti sociali.
In senso più lato, il bene comune va posto alla base anche di quell’impegno politico che, secondo la famosa e bella espressione di Paolo VI, rappresenta la più alta forma di servizio alla carità.
Bene comune, in termini ecclesiali, si traduce in una sola parola, costitutiva dell’essere cristiano: Amore. Amore per il prossimo e, quindi, per tutta l’umanità e per ogni uomo. E amore senza condizioni senza neppure la necessità di averlo meritato.
È accaduto in fondo così, al genere umano, proprio a partire da quella Notte Santa, quando la misericordia del Padre ha fatto dono al mondo della salvezza del Figlio.
Da quel momento è iniziata per tutti una storia nuova. Ne siamo parte, oggi, ciascuno di noi. Come Pastore di questa Chiesa locale avverto la responsabilità, ma anche l’emozione, di dover condurre la mia gente a rintracciare in maniera sempre più profonda i segni e l’intensità di questa storia.
La luce del Natale viene da lontano, ma trapassa e travalica i tempi. Siamo chiamati più che mai a vivere il nostro presente, guardando però oltre con fiducia e speranza. È proprio questo l’augurio che sento di rivolgere a tutti voi, con un pensiero di particolare vicinanza a coloro che si trovano a vivere anche in questo tempo il mistero della sofferenza.
+ Luigi Moretti