APOLI – “Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l’unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri” Joseph Pulitzer. Violenza sessuale, stupro, violenza carnale. Con questi tre termini il codice penale italiano riconosce la costrizione mediante violenza o minaccia a compiere o subire atti sessuali. Una piaga invisibile a occhio nudo, le cui radici affondano in una lontanissima trasposizione millenaria. Feroce e vigliacco, il più crudele degli atti compiuti nei confronti di una donna, si corrode nell’autoritarismo maschile e si consuma nell’umiliazione del corpo femminile. Specchio di un male riflesso che necessita del controllo di quel corpo stesso, misterioso, attraente e affascinante, capace di dare la vita. La violenza sessuale non conosce razza, religione, nè tanto meno età, la si esercita e rinchiude all’interno di una cornice, in cui la donna è di per sè un essere inferiore. Sfocia anche nell’omicidio, ma se a sopravvivere è il corpo, strazia l’anima e ne uccide la dignità. L”Ars Amatoria’ dovrebbe estirparla, ma invece Ovidio le affida un ruolo da protagonista: "Grata est vis ista puellis", la donna ama subire violenza. Un marchio a fuoco le cui ceneri non smettono di bruciare: "Vis grata puellae" è una frase utilizzata ancora recentemente nella giurisprudenza in materia.
PROCESSO PER STUPRO – "Una donna di buoni costumi" non poteva essere violentata. Se c’era stata una violenza, questa doveva evidentemente essere stata provocata da un atteggiamento sconveniente. Se non c’era una dimostrazione di avvenuta violenza fisica o di ribellione, la donna doveva essere consenziente. Correva l’anno 1979, la Rai per la prima volta mandava in onda un documentario titolato "Processo per stupro". L’intento della regista Loredana Dordi era quello di documentare un meccanismo sociale segnalato in molti congressi femministi a livello internazionale: quando aveva luogo un processo per stupro, la vittima si trasformava in imputata. Registrato al Tribunale di Latina, il documentario fu seguito da nove milioni di telespettatori, insignito del Prix Italia e presentato a svariati festival del cinema. La vittima del processo filmato era una giovane di 18 anni che denunciò per violenza carnale un gruppo di quattro uomini. La ragazza non presentava segni di percosse o maltrattamenti e conosceva uno degli imputati, un motivo valido per la Corte nel ritenere che non avesse subito alcun abuso. A difenderla, l’avvocatessa Tina Lagostena Bassi, che in un’intervista del 2007 dichiarò: "Ricordo che la gente era sconvolta, perché nessuno immaginava realmente quello che avveniva in un’aula giudiziaria, dove la giustizia era altrettanto violenta degli stupratori nei confronti delle donne. Era una violenza… uno proprio la sentiva, materialmente". Lei, era la stessa che in aula difese Donatella Colasanti nel’75, quando Roma fu inorridita dal massacro del Circeo.
IL CODICE ROCCO – "Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume", "delitti contro la libertà sessuale","offese al pudore e all’onore sessuale","Dei delitti contro la morale familiare", nel codice Rocco la donna come essere umano non esiste. Il matrimonio riparatore, ivi compresa la ‘fuitina’ non consenziente, costringe una donna abusata a dover condividere il resto della sua vita con il suo carnefice. Il ‘delitto d’onore’ autorizzava il marito a sbarazzarsi della propria moglie qualora lo ritenesse necessario. Fiumi di sangue drasticamente diminuti, ma le statistiche attuali confermano che il ‘boia domestico’ uccide di meno, ma striscia ancora. L’onore è il dogma che implacabile e immorale condanna a morte la bellezza dell’essere femminile. Bisognerà aspettare il 15 febbraio 1996, con la legge n°66, "Norme contro la violenza sessuale", che afferma il principio secondo cui lo stupro è un crimine contro la persona che viene coartata nella sua libertà sessuale e non contro la morale pubblica.
7 MILIONI DI VITTIME – In Italia oggi la violenza sessuale è punita dall’art. 609-bis del codice penale con la reclusione da 5 a 10 anni e configurano come reato di "atti persecutori" art. 612-bis le condotte tipiche dello stalking. Eppure i dati parlano chiaro. In Italia le cifre sono da brivido: l’esercito delle vittime è composto da 7 milioni di donne. Nell’universo femminile una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni ha subito l’aggressività di un uomo e nel 63% dei casi alla violenza hanno assistito i figli. Shock, confusione, ansia, insensibilità e intorpidimento, sono solo alcune delle reazioni che una donna vive dopo uno stupro. Alcune negano l’accaduto, non lo riconoscono pienamente oppure minimizzano l’intensità dell’esperienza vissuta, ciò accade più frequentemente quando l’aggressore è un conoscente. La frustrazione si trasforma in vergogna e senso di colpa, la dignità violata influisce nel rendimento sul lavoro, comprime le relazione sociali e soffoca la vita sessuale. Le ricerche dimostrano che almeno 1/3 delle vittime di stupro vivono almeno un periodo di depressione grave e che il 17% arriva anche al gesto più estremo, il suicidio.
RIFLESSIONI IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE – La Giornata mondiale contro la violenza sulle donne indetta dall’Assemblea generale della Nazioni Unite apre lo spunto per una riflessione. In una società in continua evoluzione, la guerra dei generi continua a mietere vittime. La rivoluzione sessuale, le lotte femministe, la rivendicazione per i propri diritti, piuttosto che unire i generi ne hanno confuso gli ideali e destabilizzato i ruoli. L’uso mortificante ed esasperato del nudo femminile non celebra il trionfo della donna, ma è piuttosto una degradata caricatura che ne trasfigura l’essenza, ma compiace il maschio. Corpi svuotati della loro naturale femminilità e pompati di straripante erotismo che si piegano alle leggi del mercato e non solo. Politica, televisione e spettacolo, pullulano di incantevoli fate sinuose che si vendono con arrogante consapevolezza, ma che non offrono solo il loro corpo, ma sopratutto le loro ambizioni. La rappresentazione costante della donna come oggetto sessuale provoca il maschio pubblicamente e lo rende insicuro nel privato, avviando un processo di misoginia che può sfociare nei comportamenti più violenti. Non è un femminile di questo tipo che si può riequilibrare con il maschile in una nuova dimensione, ma al maschile è richiesto un profondo cambiamento della moralità personale. Oggi, il grado di civiltà raggiunto, dovrebbe estirpare la violenza che il genere maschile esercita nei confronti di quello femminile, ma i numeri invece, sono ancora inquietanti.