Qualunque sia l’origine – sono in corso gli accertamenti – è comunque estremamente suggestiva l’immagine di quel pentagramma scoperto rimuovendo un dipinto su tela all’interno dell’abbazia Monumentale di Santa Maria Maddalena in Armillis a Sant’Egidio del Monte Albino, centro di cui è chiesa madre. Si tratta di una sorta di appunto musicale su intonaco. Una prima analisi farebbe risalire quel pentagramma all’800. Ovviamente si tratta di una datazione da verificare con studi approfonditi. La scoperta (fatta dai restauratori Adele Ruggiero e Lello Ronca) ha destato comunque già interesse e clamore. La simobolgia farebbe pensare ad una mano che abbia avuto a che fare con la congregazione del Santissimo redentore. Il segno grafico richiama, infatti, lo stemma realizzato da fratel Vitpo Curzio a Scala. Anche se mancherebbe qualche elemento. Da appurare se per omissione o per l’azione del tempo che – ahinoi – non risparmia neanche le opere d’arte. Di fatto la scoperta del pentagramma inciso non su carta ma sull’intonaco acuisce l’attenzione riservata all’Abbazia che appartiene alla Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno ed è retta da padre Massimo Staiano. Con molte probabilità, il primo luogo di culto della comunità di Sant’Egidio fu un piccolissimo monastero, sorto, tra l’VIII e il XI secolo, ad opera di alcuni monaci benedettini e ricavato all’interno di un vano con pianta quadrilatera – oggi in zona ipogea – che, in origine, doveva essere il criptoportico di una villa romana risalente al periodo augusteo (I secolo a.C. – I secolo d.C.). Il primo documento, in cui si fa riferimento alla presenza del monastero – in cui, tra l’altro, si apprende che era dedicato a Sant’Egidio (monasterio vocabulo sancti egidii) – è una donazione, risalente all’anno 1113, da parte del principe Giordano di Capua all’abate della chiesa di S. Trifone di Ravello. Donazione confermata nel 1231 con un Diploma dell’Imperatore Federico II di Svevia, nel quale, per la prima volta, si fa menzione della chiesa di Sant’Egidio e Santa Maria Maddalena Sulla facciata esterna, con un grandioso ciclo di affreschi, databile al XVI secolo, sono rappresentate scene della vita di San Nicola e della predicazione della Maddalena. C Nel secoli successivi, sia ad opera di potenti e ricche congreghe, sia per iniziativa di alcune facoltose famiglie locali, che detenevano il patronato sugli altari minori, la chiesa si arricchì delle opere di importanti artisti. È il caso, ad esempio, del quadro delle Anime del Purgatorio, eseguito, sul finire del Seicento da Angelo Solimena, e dell’altare di San Nicola, progettato, agli inizi del Settecento, da Francesco Solimena, ed arricchito da una tela di Giovan Antonio D’Amato. Risale, poi, al 1707, il quadro di Sant’Anna e Sant’Ignazio di Loyola, opera del pittore napoletano Nicola Malinconico, allievo di Luca Giordano, ed, infine, al 1821 la tela della Deposizione del pittore atellano Tommaso De Vivo.Dal 1438, a seguito dell’assunzione del titolo di Abazia da parte dell’antico monastero, questo edificio diventò la residenza ufficiale degli Abati. In esso, fino alla fine del Settecento, hanno periodicamente dimorato Arcivescovi e Cardinali napoletani come i Brusco (1527-1531) e i Filomarino (1634-1660) e romani come Giuseppe Renato Imperiali (1700-1721). 

Patrizia Sereno

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