Una petizione per fermare l’immissione di polveri di amianto nell’aria. Centoventi firme inviata all’amministrazione comunale di Nocera Inferiore. Destinatari successivi la Asl e la Procura della Repubblica. E’ una battaglia di civiltà per difendere il futuro dei più piccoli. Parte dall’antico, operoso quartiere di Casolla, nella zona Sud della città. Quel rione che si snoda, tra la parte storica e quella modera, attorno alla chiesetta di San Simone e Giuda famosa per i suoi festeggiamenti in onore di Santa Rita da Cascia. Quel rione che ingloba al proprio interno vecchi capannoni industriali. Alcuni in parte utilizzati, altri in disfacimento sotto i colpi del tempo e dell’abbandono. E il pericolo, subdolo, pare annidarsi proprio lì. Si chiama amianto. <<E’ nei laterizi di cui quegli immobili sono fatti>, spiega Mario Nacchia. E’ lui il promotore della raccolta di firme. Il più terribile dei mali lui lo combatte tutti i giorni, mentre accudisce sua moglie ammalata, in una casetta rosso mattone attigua proprio ad uno dei capannoni “incriminati”. Mario Nacchia vuole che quello che accade a sua moglie non debba capitare ad altri. <<<Cinquantacinque anni fa – raccomta – lavoravo in una ditta che ha realizzato quei capannoni. Perciò so bene che lì c’è amianto>>. D’altra parte, l’eternit era impiegato a piene mani prima che la scienza raccontasse al mondo che l’amianto usurato, quello sfilacciato, immette polveri cancerogene nell’aria che respiriamo. <<Dobbiamo fare qualcosa, occorre che le istituzioni facciano qualcosa>>, dice Mario. Per trentacinque anni ha vissuto e lavorato a Londra. <<Costruivo pezzi per aerei militari>>, racconta. Poi, undici anni fa, ha deciso di tornarsene nella sua terra, per vivere in serenità l’epoca della pensione. Ma Nocera Inferiore gli ha riservato la più terribile delle accoglienze, quel male che ha colpito sua moglie. La vita è diventata una battaglia quotidiana, una lotta continua per conquistare un giorno in più. <<Come mia moglie – dice Mario Nacchia – solo a Casolla ci sono almeno una decina di casi. E sono solo quelli di cui si sa. Non si contano, secondo me, quelli che mantengono il doloroso riserbo>>. In linea d’aria, un calcolo empirico racconta che solo in una trance della non lontana Via Michele Riccio ci sono almeno quattro casi di persone che stanno facendo i conti con neoplasie di vario genere, con il cancro per dirla senza indorare la pillola. In teoria, dovrebbero essere i privati proprietari dei capannoni dismessi a provvedere alla bonifica. In teoria, potrebbe procedere il Comune. In danno. Il nodo sta nel fatto che la messa in sicurezza dall’amianto non è affatto un’operazione dai costi contenuti.

Patrizia Sereno

 

 

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