Non è vero che l’abito non fa il monaco. O meglio, non è sempre vero. E non è vero che il contesto abitativo non incida sulle scelte di vita che l’individuo compie. E’ una realtà dura, durissima quella del quartiere satellite di Montevescovado a Nocera Inferiore. Lo è diventata nel corso degli anni, quando quelle unità abitative nate con una chiara natura transitoria dopo il terremoto del 23 novembre 1980 erano diventate permanenti. Scivolando nella ghettizzazione ambientale. Perché è così quando le fondamenta della palazzina dove vivi si riempiono di liquami stagnanti ogni volta che piove e non solo e tu sei costretto a vivere con la puzza che ti atrofizza le mucose nasali. Quando il soffitto del bagno cede di tanto in tanto, mettendo a nudo le parti in amianto che in quel tipo di alloggi provvisori non mancavano negli Anni Ottanta. Quando in camera da letto devi sistemare secchi qua e là per raccogliere l’acqua che si infiltra intridendo l’ambiente del pungente odore di muffa che diventa la quotidianità cui non fai più nemmeno caso. Quando di notte e di giorno senti i topi passeggiare nelle intercapedini; e ti accorgi che mordicchiano i fili della corrente elettrica e quelli del telefono; e non dormi mai temendo che gli schifosi roditori possano saltare nella culla del tuo piccolino, lì accanto al letto di mamma e papà, a ridosso della parete ammuffita e scrostata. Quando devi aspettare il 1987 (i prefabbricati pesanti erano stati allestiti nell’81) per avere l’illuminazione in strada. E dopo che il vescovo dell’epoca, Illiano, aveva tuonato a più riprese perché a Montevescovado arrivassero quanto meno i pali della luce! Ci avevano provato gli amministratori ad immaginare la dismissione di quelle topaie. Almeno quelle svuotare dopo il trasferimento nei neonati appartamenti Iacp – gli unici realizzati fino ad oggi rispetto al progetto complessivo – della prima trance di cinquanta famiglie. Era accaduto durante il secondo sindacato Romano. Erano state murate quelle case non case lasciate dopo vent’anni e più. Ma i sigilli erano stati violati. Puntualmente. Non solo dai disperati di turno affamati di un tetto sotto cui dormire. Erano diventate battaglie contro i mulini a vento quelle degli agenti di polizia locale: loro avanti, i violatori di sigilli dietro. Per non dire poi della cessione degli alloggi, della vendita da parte di chi lascia perché ha finalmente trovato una casa di mattoni e calcestruzzo a chi di una casa ha bisogno a tutti i costi. E poco importa che sia una catapecchia che avrebbe dovuto essere abbattuta da anni. E’ quello in contesto ambientale in cui impari a tacere e a tollerare i traffici fuorilegge che pratica il tuo vicino. Nel solco del vivi e lascia vivere. Quando non trovi addirittura vantaggioso – perché non c’è alternativa – entrare nel giro, imparare a fare tuo il “mors tua vita mea”. Non ignora cosa sia Montevescovado il vescovo Giudice. Quella fetta malata della diocesi è dietro casa sua, dietro il palazzo vescovile. E che il Pastore sappia, abbia sempre avuto coscienza di quella realtà lo ha voluto ribadire, in maniera più che esplicita appena sabato scorso, in occasione della veglia della vigilia di Pentecoste quando ha invocato lo Spirito su quella parte dei territorio dove c’è chi spaccia di notte e chi ha smarrito il senso di Dio.

Patrizia Sereno

Share.

Circa l'autore

Leave A Reply